Se avete intenzione di
partire per la Terra dei Sorrisi, navigando sul web potrebbe capitarvi di
leggere sul sito di una compagnia investigativa privata la seguente frase:
<<Ogni anno, in
Thailandia, centinaia di turisti “spariscono” misteriosamente. Senza lasciare
nessuna traccia. Perché è così semplice “sparire”? Turismo sessuale, stimoli
imprenditoriali, ma anche droga, criminalità, animali pericolosi e malattie
mortali. E molto altro.>>
Thailandesi! Timorati di
Dio, o meglio di Buddha. Gentili, tradizionalisti e convinti sostenitori del
“salvafaccia”: alzare la voce è per loro sgradevole e potenzialmente
pericoloso. Se “perdono la faccia” possono ritenersi offesi e reagire in modo
estremo.
Bangkok, la Venezia
d’Oriente, è una città che disorienta per il suo caos urbanistico-rurale.
Umidità elevatissima, sole tropicale, improvvisi acquazzoni e strade allagate.
Gigantesco organismo rapido a fagocitare, digerire ed espellere qualsiasi cosa.
Un tipico “soi” di
Bangkok, è una tenebrosa stradina larga poco più di un metro. Entrandovi
perderete la certezza di uscirne. Camminerete stretti fra due file
interminabili di bancarelle colme di dentiere in plastica, amuleti, strani
frutti e pesci sventrati, insetti fritti e anziane pronte a strattonarvi per il
braccio ungendolo con del balsamo di tigre. E dozzine d’occhi truffaldini vi
osserveranno bramosi. Il tutto amalgamato in un olezzo impossibile da schivare.
E le molte vie della Città
Vecchia, poco distanti dal Grand Palace, densamente popolate da senzatetto
alloggiati in baracche costruite sui marciapiedi. Decine di uomini affaccendati
nelle attività più strane: raccogliere erbacce dai canali del Chao Phraya,
bollire strani intrugli per strada, o ancora sorbire con le mani brodini
arancioni da un sacchettino di plastica seduti per terra! O le donne, che di
giorno vendono frutta, mentre dalle sette di sera “aspettano” sui marciapiedi
altro tipo clienti, abili venditrici di se stesse.
Persino prendere un taxi
può essere frustrante. E qualche volta pericoloso.
Un cenno con la mano e
l’auto si accosta abbassando il finestrino: “Sa-wàt-dee-kràp”! E salendo
chiederemo “Meter, gà-rù-nah”. Con gentilezza. Richiediamo il tassametro,
attivato controvoglia solo dopo ripetute esortazioni poiché, come su ogni altra
cosa, preferiscono contrattare il prezzo. Per chiarire meglio la destinazione
possiamo mostrare al tassista una mappa, ma non conoscono l’alfabeto latino. E
se fosse in caratteri thai vi capiterà che, l’autista di turno guardandola,
accenni con la mano a problemi indicandosi gli occhi: conviene così sperare che
questi rientri nella consistente percentuale di analfabeti, piuttosto che in
quella dei non vedenti! E la foto sulla licenza esposta nel taxi? Raramente
corrisponde al conducente. Vi capiterà il tassista in cocaina: lanciato,
clacsonerà ad ogni incrocio pronunciando al contrario il nome del vostro hotel!
O il tassista muscoloso, che anziché portarvi al locale richiesto, insiste per
portarvi in alcuni malfamati locali a Pat Phong.
Purtroppo tre minuti non
sono sufficienti per spiegare cosa è successo a me. O forse conviene che non ve
lo racconti. Vi basti sapere che vi scrivo dalla Terra dei Sorrisi, sperando
che arrivi presto un buon avvocato.
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