- Accidenti
a me e alle scarpe nuove, mi devo fermare.
La nebbia piroettava fra la luce dei lampioni accesi di un
viale alberato, la fermata dell’autobus a pochi passi, la panchina al lato.
- Un
ultimo sforzo e poi mi siedo.
Una vecchia Mercedes rosso amaranto fu messa in moto, il
fumo del tubo di scappamento si unì alla nebbia in una danza leggera finendo
per disperdersi fra i rami secchi di un vecchio tiglio.
- Buonasera,
mi scusi sposto le buste un po’ più in là mi devo sedere, sa le scarpe nuove…
La giovane donna stretta in un cappottino verde smeraldo
riuscì a sedersi non finendo però la frase che quell’uomo infossato nelle sue
spalle ricurve le scivolò in grembo, sentì il peso del suo viso sul petto
mentre il braccio sinistro le accarezzava una caviglia.
- Bestia
che non sei altro, pervertito, cretino.
Lo schiaffo che ne conseguì fece cadere l’uomo a terra,
mentre la ragazza alzandosi di scatto fece ruzzolare l’intero contenuto delle
buste, uova, tonno, salsa di pomodoro ed una decina di mele rosse che in fila
indiana sfilarono lungo il marciapiede.
Gli occhi erano aperti, la bocca piegata in una smorfia di
dolore.
La ragazza iniziò ad osservare l’uomo dapprima rabbiosa poi
avvicinandosi un poco stupita dall’assoluto silenzio e dalla sua fredda
indifferenza si sentì gelare il sangue nelle vene così come lo erano quelle di
quel vecchio, ormai morto.
- Aiutoooooo
aiutoooooooo
- Mi
sto sentendo male, respira, respira, come lo spiego ora sto morto e gli ho dato
pure uno schiaffo!
La sirene spiegate di due auto dei carabinieri fecero
impallidire la ragazza che già in verità aveva sulle guance l’unico colore rosa
pesca di un fard luminoso di buona marca.
In cinque uscirono dalle auto che le si fermarono davanti
alle sue scarpe il cui dolore causato ai piedi era ormai un ricordo
- Non
so cosa sia successo, sapete le scarpe nuove mi sono seduta e e e che ne so è
scivolato a terra morto.
- Da
quanto tempo è qui?
- Come
si chiama?
- Perché
la spesa è tutta a terra?
I carabinieri iniziarono a fare domande senza lascarle in
tempo di ragionare sulle risposte.
- Io
io, da poco, non lo so, non mi ricordo, a che ora parte l’autobus?
Non si ricordava neppure più il nome figuriamoci la
ricostruzione di quegli ultimi minuti.
In quel momento la mercedez rosso amaranto parcheggiò
lentamente al lato opposto della strada, si udì il rumore del freno a mano
tirato al massimo e la portiera dalle cerniere non più fiammanti.
La ragazza osservò la donna che ne uscì, di corporatura
minuta, camminava claudicando, indossava una vecchia pelliccia di visone.
- Abbiamo
avuto una telefonata anonima diceva che qui si trovava il cadavere del
professor Giuseppe Orsellini.
- Io
non ne so nulla di questa storia.
La donna aveva ormai attraversato la strada.
- Chiedetelo
a lei, ho visto la sua auto allontanarsi pochi istanti prima che arrivassi
vicino alla panchina.
- Lei
chi?
Disse il carabiniere che a ginocchia abbassate osservava il
cadavere, dalla cui bocca ora usciva un rivolo di sangue denso e scuro come
marmellata di mirtilli.
- Parla
di me, sono io che vi ho chiamati, non volevo fuggire, ma aveva un’ultima
questione da sbrigare.
- Lei
chi è.
Disse il carabiniere con il taccuino in mano.
- Sono
Clotilde Rupoli, lo amavo, un tempo ormai lontano, lo amavo
- L’ho
ucciso io arrestatemi pure.
- E
perché lo ha ucciso?
Continuò il carabiniere non staccando la penna dal taccuino.
- Mi
aveva detto “vado a fare la spesa e torno” e non è più tornato.
- Questa
mattina passando con l’auto l’ho rivisto, mi sono fermata e gli ho chiesto se
mi riconosceva, lui con sguardo assente mi ha detto “sei una delle tante a cui
non ho riportato le uova in tempo” poi ha riabbassato lo sguardo ignorandomi,
io l’ho scosso, gli ho detto che lo avevo atteso per anni lui mi ha risposto
“vedo che comunque hai mangiato” avevo l’ombrello chiuso sotto braccio ho
tentato di colpirlo lui si è scostato, gliel’ho puntato contro ed il destino ha
voluto che scivolassi finendo per infilzarglielo in ventre, non mi dispiace poi
così tanto per lui, più per la spesa che ora è sparpagliata la a terra.
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