Abituale abito d'abitazione
nobile,
mobilio immobile,
opulenza palpabile,
labile limite tra
apprezzabile e risibile,
in bilico tra biliaco e
villico.
Limbico nido di libico
infido,
di sbieco, si staglia su
bassa collina.
Collima con immagini flebili
di un'Istambul magica;
unica abiura: l'automobile
indaco
brilla come stella in
subbuglio per scoppio imminente.
Niente umiltà nel bullo
imbellettato,
strabuzza bulbi oculari in
faccia rubizza
al passaggio fluido di rara
bellezza.
Ne propone pronto acquisto,
convinto che il cuore, come
tutto, abbia un costo.
Si blocca in un broncio da
bimbo viziato,
la bocca grinzosa e la fronte
aggrottata,
al rifiuto deciso rifilatogli
tosto
dal fiore narciso defilatosi
lesto.
Infila filare, di filata,
fino al villino.
Villano vaneggia vendette e
vitupera,
vigliacco invoca intervento
divino.
In divano ottomano, di vino
ottobrino,
s'ubriaca e, molesto, mostra
il suo lato nascosto.
Il mosto riesuma il mostro.
Incastra lastre su asta
lustra,
incastona pietre su piastre e
fruste:
"ingiusta" latra
"indegna" mugugna
"alla gogna"
digrigna e guadagna la porta.
Porta lo sguardo in angusta
viuzza,
la puzza gli mozza nel gozzo
il fiato:
"fidato?!" domanda
al rozzo individuo,
individuato ondivago tra
monnezza, olezzo e spruzzi.
Fissa il prezzo e fissa con
disprezzo
il pazzo che accetta
l'accetta improvvisata.
Improvvisa la falce riluce in
tralice,
Alice è ferita e non reca
prece,
incede precaria per pochi
passi,
cade e cede.
Il carnefice accerta il
decesso con l'indice,
indice a sé stesso un
processo sommario
recide la cute, si percuote
ed incide,
indeciso se uccidersi o
chiedere lumi
a chi commissiona simili
scempi.
Alla vista del viso il senno
è perduto,
condannato colpevole del più
grave reato,
il reietto s'arreca
"seppuku", lasciando impunito
chi invece è fece.
Farcela è facile al mondo
d'oggi,
falsi e furbi fanno i passi
più turpi,
turbando alcuni, deturpando
altri.
Raggiri ed intrighi
ingabbiano i miti
militi ignoti di liti
ignobili,
mitili inutili mangiati dagli
utili
di molti politici e magnati
futili,
elettisi giudici ma peggiori
degli ultimi.
Non resta che esser diretti e
sicuri,
presenti a sé stessi sempre e
comunque;
pervasi dal senso più sereno
di tutti,
ossia il lottare sino al sonno dei giusti.
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