Racconti gialli in tre minuti



In occasione della decima edizione del festival di narrativa poliziesca La passione per il delitto - dal 25 settembre al ottobre 2011 - in collaborazione con la libreria Area Libri di Seregno, è stata organizzata la seconda edizione del CRIME STORY SLAM: una gara di brevi racconti, in cui una giuria ha selezionato 15 finalisti tra tutti i racconti partecipanti. Domenica 9 ottobre, gli autori si sono sfidati sul palco leggendo i loro racconti, fino alla proclamazione del vincitore assoluto determinato dai voti della giuria in sala.

domenica 16 ottobre 2011

PRIMO CLASSIFICATO: ELENA GREBAZ, Richieste di amicizia


Richieste di amicizia, Lupodellasteppa, 1 amico in comune, conferma.
Lupo della steppa? Ma chi cazzo è?
Wow! Un figo da paura! Non me lo lascio scappare.
Richiesta di amicizia accettata.
Roberta e Lupodellasteppa hanno stretto amicizia.
Scrivi sulla bacheca.
Ciao, ma chi sei?
Ciao Roberta, sono uno che vuole conoscerti.
Mi aspettava dietro il cespuglio, come il lupo di Cappuccetto Rosso.
Dai, vieni in chat!
Asp. Eccomi!
Ehi, come butta?
Tt ok. Tu?
Chattiamo per un’eternità.
Non mi sembra vero. Alla fine è arrivato, dolce, sensibile, abbiamo pure gli stessi gusti musicali!
Allora ciao, a presto!
A prestissimo, Roby!
Chiudo la chat.
13 notifiche in bacheca.
Lupodellasteppa ha condiviso un link sulla tua bacheca.
Oddio, la mia canzone preferita!
Lupodellasteppa ha commentato il tuo stato.
A Lupodellasteppa piace la tua foto.
A Lupodellasteppa piace il tuo link.
Lupodellasteppa ha commentato il tuo link.

L’indomani sono sveglia presto. Non faccio nemmeno colazione. Apro Facebook: 53 notifiche!
Tutte sue.
E un messaggio.
Ti aspetto al centro commerciale alle tre.
Ci sarò!
Sono già un po’ innamorata.

Arrivo col motorino e mi accorgo che il parcheggio è deserto. Oggi è giorno di chiusura. Mi guardo intorno. Nessuno. All’improvviso mi viene da piangere. Uno scherzo idiota di quella stronza di Ilaria. Certo, è il suo stile! Ci sono cascata. Che scema!
Avvio il motore e sento il clacson di un’auto.
Ehi!
E’ lui!
Ma allora è vero!
Dai, sali!
Dio, è bellissimo.
Roby, stai calma.
Ti porto a fare un giro, vuoi?
A un tratto imbuca una strada sterrata, si ferma, mi guarda, sorride con quei canini un po’ sporgenti e mi salta addosso.
No, ti prego, lasciami, non voglio!
In un attimo è sopra di me, ansimante, mentre le lacrime cominciano a scendere.
Non piangere, stupida!

La prof di tecnologia me l’aveva detto. Togli quel taglierino dalla tasca, Mazzocchi, è pericoloso!
Aveva ragione.
Lo sfilo lentamente, lo faccio scattare e zaac, un taglio netto alla gola.
Spalanca gli occhi e mi fissa, sorpreso.
Poi crolla sul sedile.
Apro la portiera, scendo dall’auto e mi inoltro trotterellando nel bosco.
Un lieve sorriso sulle labbra.

SECONDO CLASSIFICATO: NICOLETTA SIPOS, Gioco duro


Loretta mi ha chiesto l’altra sera che cosa sono disposta a fare per vincere una gara. Quando mi guarda con quegli occhi grigi – grandi e sinceri – non oso mentirle. Così ho risposto: «Tutto. Rubare – imbrogliare – perfino uccidere se occorre».
Mi ha sorriso. Sapeva già come la penso. Probabilmente ricordava il crime story slam del 2012. Io avevo partecipato con una storia che era una bomba, e meritavo il primo premio.
Guardi che l’ho vista ridere, signora in nero nella quarta fila – e anche lei, la rossa lì in fondo. Non mi credete? Statemi a sentire.
In realtà io allo slam non volevo partecipare. Giocare m’interessa poco. A me preme vincere. Mi sono decisa solo per via di quella particolare storia che mi pareva imbattibile.
In effetti ho superato con un ottimo punteggio la prima selezione. Assieme ad altri 14 concorrenti, però. Era previsto che leggessimo i nostri racconti il 10 ottobre. Sette giudici e il pubblico avrebbero scelto il vincitore.
La migliore ero io, nessun dubbio. Dovevo solo convincere la giuria. O eliminare gli altri concorrenti.
Compito non facile, lo ammetto, ma io ho lavorato con metodo.
Marisa l’ho portata alle terme di Monticello. Non sapeva nuotare, mi ha confessato. Le ho detto - tranquilla, ci sono io. Mi ha creduto. Peggio per lei. 
Giuseppe l’ho invitato a mangiare pollo e funghi all’Agnello d’oro. Se l’è cavata con una lavanda gastrica e tre giorni di digiuno. Altro che slam: manco si reggeva in piedi. 
Pinina, povera, ha fatto un salto di tre metri rompendosi il femore mentre andavamo ai Corni di Canzo il giorno prima della finale. Voleva partecipare alla gara in carrozzella. Non gliel’ha fatta.
Isetta si è trovata contro uno sciame di vespe arrabbiate. Purtroppo era allergica al veleno…  
Che fantasia, eh??? Solo per questo meritavo di finire prima. Se avessi potuto svelare a tutti la verità.
Comunque, arrivata a quel punto mi sentivo la vittoria in tasca. Invece, vista l’impressionante serie d’incidenti, la giuria ha sospeso la gara.
L’annuncio mi ha provocato una spaventosa colica renale. Loretta ricordava anche questo dettaglio. Mi ha detto, severa: «È proprio vero che il crimine non paga».
«Giusto», ho risposto io. «O paga molto lentamente».
Mi ci sono voluti sei mesi per scoprire i nomi e gli indirizzi dei giurati.
Nina è uscita di strada con la sua Panda il primo giorno di primavera, una sera di vento e grandine. Roberto ….
Come dice signor giudice? Il tempo è scaduto? Beh il resto ve lo racconto un’altra volta.
Voi intanto, giurati e concorrenti, meditate… Prima di votare pensateci bene …. 

TERZO CLASSIFICATO: MARCO PROSERPIO, Van Gogh

Prima o poi questo momento doveva arrivare. Arriva per tutti, amore. Il momento di essere distesi, dentro una bara imbottita, con i parenti intorno che ti guardano. Se sei ridotto male, ti gettano solo un’occhiata appena entrati, poi il loro sguardo va da un’altra parte. Ma a te non è successo, amore mio. Tutti ti stanno ammirando. Sembra davvero che tu dorma, con quel sorriso sereno sul volto. Sei così bella. Mi viene voglia di baciarti. Nostro figlio ti ha comprato dei fiori bellissimi. Sono profumati. Povero ragazzo, lo vedo che è stravolto. Ma cosa potrei fare per lui? Ti hanno messo anche un rosario tra le mani. Lo sappiamo tutti che tu non credevi in Dio. Ma va bene così. Tra un minuto arriverà il prete. Dirà una preghiera. Tutti risponderanno con voce sommessa. Poi il funerale. La messa. Il cimitero. L’operaio che sigilla la fossa. Quanta gente è venuta qui in casa nostra, oggi. Ti conoscevano in tanti. Ci sono anche i nostri vicini. Anche quel pezzo di merda del piano di sopra. Quello che ti ha ucciso. Sì, cara, non preoccuparti, so tutto. Aveva scoperto che il quadro appeso in soggiorno era un autentico Van Gogh. Non so come l’abbia intuito. Spero che non gliel’abbia detto tu. Se anche fosse, però, ti capisco. Tutti questi lunghi pomeriggi in casa da sola, le sere che non passavano mai, la vita da pensionata: quando quello stronzo ha suonato alla porta per la prima volta, il tuo cuore ti avrà ringraziato. Ma oggi non è il giorno delle recriminazioni. In questa casa siamo stati bene anche noi. Abbiamo avuto anche noi la nostra dose di giorni felici. O almeno sereni. Sento del movimento in corridoio. E’ arrivato il prete. Ok, amore, mi sa che ci siamo. Apri gli occhi. Svegliati. Perché mi guardi così? Sono io, stai tranquilla. Ti sembro più giovane di quando sono morto? Significa che a te fa piacere ricordarmi così. No, nessun altro qui dentro mi può vedere. E nessuno vedrà nemmeno te, mentre esci da quella bara. Continueranno a vederti distesa. Mentre sorridi. Dai, salta giù. Brava. E adesso andiamo. Niente paura: abbiamo entrambi un posto prenotato ai piani alti. Anche se non credevi nel Capo. Dicevi che non esisteva. Ma lui è fatto così… Ora seguimi. Lo so. Vorresti strangolare quel bastardo che ti ha ucciso. Guardalo lì, con quel ghigno ebete. Pensa di avere fatto il colpo perfetto. Ti ha avvelenato. Non ci sarà nessuna indagine. Ma sai cosa ti dico? Lascialo fare. Lascialo tornare nel nostro appartamento a staccare il Van Gogh dal muro. Poi però noi torneremo da lui. Tutte le notti. Finche vivrà. Sussurri... Ombre sul muro… Ho già in mente tutto. Lo faremo impazzire di paura. Sarà uno sballo. Fidati, il Capo è simpatico: certe cose, se è per una buona causa, le lascia fare. Credimi, amore, ci divertiremo. No, non da morire; ma da FAR morire!

Michele Amedeo - Hai chiuso il gas?


Luca  stava trangugiando il caffe’ in piedi, solo.
Marta era uscita da poco per recarsi a scuola.
Lui era insolitamente in ritardo.
Per la verita’, da un po’ di tempo non era cosi’ insolito.
Tra i colleghi dell’assicurazione la sua puntualita’ era mitica: mai un ritardo,  mai un’assenza ingiustificata.
Ma adesso era diventato paranoico e questo lo faceva infuriare.
Una assurda mania di controllo lo attanagliava prima di coricarsi e ogni volta che era in casa da solo e doveva uscire.
Luci spente ?   Porta e finestre chiuse ?  Il gas ?
Poso’ la tazzina e si chino’ ancora a controllare se la levetta fosse verticale: gas chiuso.
Si alzo’ sospirando, afferro’ la ventiquattrore e  usci’.
Chiuse a tripla mandata la porta (conto’ le mandate), si avvio’ lungo il vialetto contemplando  il prato verde smeraldo, la fontana marmorea, il gazebo: quel giardino era il suo orgoglio.
Incespico’ in qualcosa di solido, perse l’equilibrio e solo a stento riusci’ a rimanere in piedi.
Guardo’ giu’ e noto’ con disappunto che uno di quei dannati nani da giardino (Mammolo?) era finito chissa’ come sdraiato sul vialetto. 
Con un moto di stizza gli sferro’ un calcio, facendolo ruzzolare contro la base della fontana.
Noto’ con soddisfazione che una scheggia di legno si era staccata dalla faccia. Marta si sarebbe arrabbiata (e molto), ma le avrebbe detto di averlo trovato cosi’: lui non aveva colpa, era stato qualche seguace della Banda Liberazione Nani da Giardino, che aveva fallito la sua missione, lasciando cadere  lo sgorbio a pochi metri dalla liberta’,

Durante il lavoro era nervoso, senza concentrazione, non capiva quello che leggeva.
Il telefono sulla scrivania lo fece sobbalzare.
“Pronto ?” , professionale.
Silenzio. No, non proprio. Un lieve ansimare,  poi un risolino soffocato.
“Pronto ?”, scocciato. Non sopportava gli scherzi.
 Stava per sbattere il ricevitore quando …
“Luca ?”  una vocetta impertinente.
 “Chi parla ?”  incerto.
“Luca… hai chiuso il gas?”
Gelo.
Un assordante click! E poi il silenzio, quello vero.
Chi si prendeva gioco delle sue fobie?  Chi conosceva le sue fobie?
Ma soprattutto: la levetta era verticale o orizzontale ?
Infatti in quel momento si era accorto con sgomento di non ricordare se aveva veramente chiuso il gas prima di uscire!
In un lampo afferro’ le sue cose e si precipito’ fuori tra colleghi perplessi.
Brucio’ semafori rossi, parcheggio’ di traverso davanti a casa, volo’ sul vialetto, apri’ la porta, entro’, richiuse, fisso’ ansando il soggiorno avvolto nella penombra della sera.
Accese la luce e una deflagrazione, seguita da un violento spostamento d’aria, lo proietto’ oltre la porta sventrata.
Calore bruciante in tutto il corpo,  la schiena che atterrava pesantemente sul selciato. Il mondo nero.

Un tempo interminabile, poi la coscienza che riemergeva nel mare della realta’.
Era in movimento, apri’ gli occhi con una forza che non credeva piu’ di avere.
“Non si agiti”  disse una voce efficiente. “Ha gravi ustioni e ossa rotte, ma e’ vivo. Lei e’ molto fortunato.”
Il volto sollecito di Marta chino sopra la barella, maschere e camici bianchi affannati intorno.
Giro’ lentamente lo sguardo. 
Mentre procedeva verso l’ambulanza, Luca vide nel prato in lontananza Biancaneve e I sette nani.
E gli parve, ma non ne era poi tanto sicuro, che Mammolo con un ghigno deforme agitasse la manina per salutarlo.
O forse era Gongolo ?

Dario Fazzini - Notte in Aspromonte


Il buio della notte era ben percepibile dentro il vecchio capanno di
legno, amplificato – se possibile – dalla brutta luce bluastra della lampada al
neon che ronzava stanca sopra il banco degli attrezzi polveroso e malmesso.
Poco oltre la stradina sterrata inquieti versi arrivavano dalla porcilaia.
Eppure la notte sull’Aspromonte era splendida, fresca e chiara.
Innumerevoli vicinissime stelle aiutavano una luna bianchissima a illuminare
d’argento l’ampia vallata, mentre le cime dei faggi dondolavano fruscianti sotto
un vento teso che arrivava dal mare,  regalando a quella terra una gentilezza
inconsueta.
Ma l’uomo era indifferente a tutto questo, concentrato
nell’osservazione del grosso sacco di juta finalmente immobile che già da un po’
aveva smesso di urlare. Per sicurezza assestò un ultimo colpo con la pesante
mazza da fabbro. Ogni tanto la famiglia gli portava un sacco e lui sapeva già
cosa farci senza chiedere nulla. I maiali completavano l’opera. Così poteva
continuare a occuparsi degli animali che teneva qui a mezza costa. Il mondo era
un posto complicato dove troppa gente parlava e pochi facevano. Lui voleva
solo una vita tranquilla e faticosa.
Slacciò il sacco e un braccio scivolò fuori. Al polso un orologino di
plastica con dei fiorellini dai colori vivaci. Aveva già capito dalle grida di aiuto
disperate - Mamma! - che si trattava di un ragazzino. Come al solito andò alla
ricerca di oggetti di valore prima di dirigersi verso la porcilaia. La catenina d’oro
attirò la sua attenzione. Il vento smise di soffiare e il buio divenne tenebra.
L’uomo ora sedeva fuori, su un tronco. Non avrebbe saputo dire da
quanto tempo stesse osservando quella catenina. Erano otto anni che non la
vedeva. La madre gli aveva portato via il figlio senza dirgli nulla. E lui nulla aveva
fatto per ritrovarli. Dopotutto nessuno sapeva che quello era figlio suo e
nessuno gli aveva quindi fatto domande. Quella donna faceva sempre discorsi
strani, che lui non capiva, sul mondo e sulla giustizia. Ma che ne sapeva lei del
mondo? Non era lei che aveva da sfamare un figlio! Partì senza dirgli nulla.
Arrivarono subito i carabinieri e portarono via suo cugino Cosimo ‘O Animale.
Sapevano già dove trovare il nascondiglio segreto nella casa che lei aveva
appena lasciato. Non sarebbe più tornata. E lui non avrebbe mai più rivisto suo
figlio. E neppure la sua catenina.
La luce si fece piano quella dell’alba e il vento smise di soffiare. L’aria
conteneva già la promessa di quel calore feroce che di lì a non molto avrebbe
asciugato ogni ombra. Si scosse dai suoi pensieri. Di sicuro la famiglia non aveva
idea di chi davvero fosse quel ragazzino. Non gli avrebbe mai chiesto tanto. Ma
non si dimentica chi tradisce.
Si alzò per tornare verso il capanno. Raccolse da terra la mazza e aprì
una porta seminascosta nella parete dietro il banco degli attrezzi. Accese la
piccola lampada che pendeva dal soffitto di legno. Con la mano rimasta libera
aprì il secondo sacco che gli era stato consegnato nella notte. 
Guardò il viso segnato dal pianto della donna.
Quel sacco non avrebbe urlato. 
“Addio, Stella”. 

Marco Pellegrini - Semaforo rosso


Quando ci siamo salutati, pochi giorni fa, è stato insolitamente affettuoso, accennando anche alla possibilità che quello che stava intraprendendo fosse il suo ultimo viaggio, e mi ha invitato ad andare ad aprire la ‘nostra’, casa nell’entroterra genovese, un rustico piuttosto isolato, che per mio padre, ma anche per mia madre Lucia – quando era ancora in vita –ha sempre avuto un grosso valore affettivo.
- Quando sarai lì, dai un’occhiata alle carte che si trovano nel mio comodino, riguardano ciò che sono stato prima di essere tuo padre e - Trovati una compagna – alla fine aveva aggiunto, invadendo un territorio di cui in genere non si occupa.
Ed eccomi qui, sto ancora riguardando quel taccuino di mio padre, pieno di appunti, ritagli, pagine di diario…
La mia ‘particolare’ cena l’ho tratta proprio da lì: crepes con crescenza, composta  di peperoncini piccanti, peperoni gialli grigliati impreziosita da  un fiore di zucca ripieno  di panissa, rucola, olive taggiasche e quagliata ligure…  Mia madre, di suo pugno ha corretto le quantità relative al ripieno. Nel frigorifero ho un Sauvignon di buon livello e di grandi profumi.
Deve  essere stato davvero importante questo menù per i miei, vista l’attenzione che gli è riservata nel taccuino. Ad esempio c’è un’intera pagina di appunti dedicata alla scelta della crescenza, con la spiegazione del ‘perché’ di questo nome.
Ci ho trovato anche una fotocopia  del cap. LI del ‘Conte di Montecristo’, si intitola ‘Tossicologia’… , con delle sottolineature, era ripiegata tra le pagine dedicate alla crostata e agli appunti presi di fretta per il liquore di lamponi: la crostata l’ho diligentemente preparata, il liquore ai lamponi è lì nella vetrinetta, non so ancora se li utilizzerò.
Curiosa anche la tabella abbinata alla ricetta della composta, in cui la quantità di vino da utilizzare viene accostata in modo inversamente proporzionale ad un altro ingrediente indicato semplicemente con una ‘s’ puntata. Il vasetto di composta che ho utilizzato, preparato da mio padre, è ancora sul ripiano di marmo, appare di un rosso quasi impossibile…
Nel taccuino ci sono poi una serie di inquietanti articoli di cronaca in cui si parla di due giovani donne scomparse, una di Genova, A.G. e una di Busalla, M.C.:  i corpi non sono mai stati ritrovati.
L’altra sera, leggendo una pagina di diario relativa ad una cena, improvvisamente ho cominciato a capire qualcosa di tutte quelle stranezze:

13/7 ore 6.30

Angela era davvero molto bella ieri sera, ma mentre mangiava ha continuato a raccontare dei suoi viaggi; assaggia il fiore di zucca ed è completamente distratta da sé stessa, per me questo è semaforo rosso; il vino non acquista alcun valore nel suo sorseggiare; ha sbocconcellato la crostata perdendosi nelle mie parole e ha definito il rosso liquore di lamponi troppo dolce… ha fallito l’esame.
Il dolore mio e suo non è durato molto.

Il verde, il semaforo verde, è un’opzione che ho capito grazie alla pagina dedicata alla cena con colei che sarebbe diventata mia madre: la descrive con un’attenzione e un affetto che continuano a commuovermi.

13/8 ore 6.30
Ieri sera meravigliosa cena con L., è stato fin da subito semaforo verde!
Quando ha assaggiato il fiore di zucca non mi stava più ascoltando, ha socchiuso per un attimo gli occhi, non mi chiede gli ingredienti, assapora, gusta!
Ha calato il naso nel bicchiere, ha smosso il vino, ne ha valutato colore e profumi, era inebriata, ne ha assaggiato un sorso, poi è passata alla crepe e ha continuato ad alternare sapori e vino, stava chiaramente godendo; per un po’ nessuno dei due ha più parlato, io gustavo i sapori e gustavo lei.
Peccato non poterle offrire la crostata, la rossa crostata di more e gelatina di petali di rose, e il liquore ai lamponi, tutta roba da semaforo rosso; spero comunque di avere altre occasioni per questo assaggio, con un ingrediente in meno, ma che non ne cambia certo il sapore…
Credo, in alternativa,  abbia apprezzato il caffè freddo aromatizzato alla cannella e menta – siamo in pieno semaforo verde!

Oh, deve essere arrivata Vera, impossibile che qualcun altro posteggi qui sotto, mi affaccio alla finestra:
- Sono pronta per la sorprendente cena che mi hai promesso.
- Anche la cena è pronta e tu sei davvero splendida!
- Bello questo posto, ma cosa ci fa qui uno tutto solo?
- Prepara cene… forse, nei prossimi giorni, mi dedicherò anche alle conserve e ai liquori.

Manuela Ferrario - Noia e batticuore


Fuori si era fatto scuro e si preparava il temporale. In casa c’era polvere nei cassetti.
- È tutto inutile, - disse lui con un guizzo negli occhi. - Non abbiamo più possibilità di farcela. Ormai è inevitabile: l’Italia e l’Africa si stanno inesorabilmente avvicinando e si scontreranno. Ci sarà un terribile terremoto che inghiottirà tutto. -
Un sudore freddo gli attraversò la schiena e un brivido gli accelerò il cuore.
- Non ce la faccio. Non posso farcela a vivere con questo pensiero.-

Lei prese un fazzoletto, lo appoggiò sul piano dell’asse e lo stese col palmo della mano poi, partendo dall’angolo in alto a sinistra, lo spianò col ferro da stiro:
- Ma questo succederà tra migliaia di anni o, forse, milioni. Noi non ci saremo più! Stai sereno. Nel frattempo, possiamo vivere tranquillamente e cercare di godercela!-
Perfetto.
Il fazzoletto era stato stirato e piegato, perfettamente.
Ne prese un altro.

- E se invece… E se invece dovesse accadere tra… diciamo… dieci o quindici anni… Io sarei ancora giovane, e anche tu. E nostro figlio, lui avrebbe solo… sarebbe poco più che un ragazzo… Non ha diritto nostro figlio ad avere una vita intera? Una vita, lunga… normale! Perché dovrà subire questo torto e l’orrore di essere inghiottito dalla terra… Così giovane, poi. Perché? E tu? Tu sei la madre, perché non ci pensi? -
E con un gesto teso si passò una pezza sulla fronte:
- Che madre sei?-

Lei prese un altro fazzoletto, lo appoggiò sul piano dell’asse e lo stese col palmo della mano. Partendo dall’angolo in alto a sinistra, lo spianò col ferro rovente e lo ripiegò in quattro parti, identiche.
Perfetto.
Poi, si girò, aprì il secondo cassetto in basso a sinistra della cucina, quello col piccolo segno lungo la maniglia, estrasse il coltello, quello tagliente, con l’impugnatura nera e la lama lunga nove centimetri e, di colpo, glielo ficcò in gola.
- Tranquillo -, disse lei. - Così non avrai più pensieri!-
Un fiotto scuro gli annebbiò la vista, tutto divenne liquido e disperato.
Perfetto.

Silvia Bosi - L'ultimo ballo


“Adesso balla!”.
Queste parole riecheggiavano ancora nella sua testa.
Stava percorrendo la strada innevata, con l’ausilio delle ultime energie che aveva in corpo; il freddo pungente rendeva ogni passo una tortura, ma alla fine riuscì a trascinarsi fino ad una quercia. Alla base, c’era una fessura, una ferita della corteccia, una piccola speranza di non essere sopraffatta dal freddo.
Con un ultimo sforzo percorse la distanza che la separava dall’albero e proprio poco prima di arrivare, si accorse di aver calpestato qualcosa. Inizialmente non capiva cosa fosse, era giallo e molto lungo, poi raccogliendolo intuì che doveva trattarsi di un filo di lana sfuggito dall’intreccio di una sciarpa.

“Adesso balla!”
Stavolta le parole le disse ad alta voce.
Mai nella sua vita, qualcuno aveva osato rivolgersi a lei, in quella maniera insolente e strafottente.
Lei, che sebbene tardi,  aveva capito il suo errore e sarebbe stata disposta ad ammetterlo e a cercare di rimediare. Ma le era stata sbattuta la porta in faccia, senza nessuna pietà o compassione e questo calpestava quel misero straccio di orgoglio che le era rimasto.
“Non la passerà liscia” disse tra sé e sé prima di addormentarsi.

Il mattino dopo si alzò presto e uscì dalla corteccia. Era una bella giornata di sole; il freddo se ne sarebbe stato incatenato qualche ora, ringhiando, per poi abbaiare libero nella notte.
Aveva a disposizione ancora un po’ di tempo, ancora un po’ delle ultime forze rimaste.
In quel momento pensò al filo di lana giallo che aveva trovato la sera prima e, assetata di vendetta, decise di prenderlo con sè.
Lentamente si incamminò fino ad arrivare davanti a quella casa.

Quando poco dopo, l’inconsapevole vittima aprì la porta per uscire, non si aspettava di certo di ritrovarsi davanti a quell’imponente figura che, la sera prima, aveva cacciato via senza esitazioni.
Una di fronte all’altra, si osservarono in silenzio, consce del loro destino.

Il giorno dopo il sole aveva deciso di restare nascosto dietro alle nuvole, lasciando così il freddo libero di girare indisturbato.
Due figure scure spiccavano nella neve bianca di quella mattina d’inverno.
Giacevano a terra inermi, immobili: una era una vecchia cicala sopraffatta dal freddo e dalla fame, l’altra era una piccola formica, che stretto attorno al collo, portava un filo di lana giallo.

Monica Bartolini - Le abissali frustrazioni di un serial killer


Non amo il blu, il profondo, glaciale, siderale blu.
Mi mette tristezza; profuma di solitudine.
I colori, quelli sì che mi attraggono!
Non il rosso, però, che ferisce i miei occhi sensibili.
Preferisco di gran lunga i colori tenui, come il rosa carne.
Carne…
Ero ancora piccola quando feci la mia prima esperienza: una coscia tornita, tonica e guizzante.
La ghermii. Fu un attimo. Quasi subito non guizzò più.
Ci rimasi male.
“Dov’è il divertimento?” si chiese la mia coscienza gelatinosa.
Altri assassini efferati si crogiolano nelle loro conquiste, ne seguono l’odore ed impazziscono per il sangue.
Io no.
Sono un killer seriale (certo) e pericoloso (ci mancherebbe!), ma mio malgrado.
Non vorrei affatto uccidere.
In effetti cerco solo compagnia e calore umano.
Da quando hanno scoperto il mio modus operandi, però, quasi nessuno mi si avvicina più.
So che dovrei farmene una ragione, ma non riesco a smettere di riprovarci, combinando solo disastri!
E la frustrazione mi caccia sempre più nelle profondità di abissi di depressione.
Mi sento sola.
A volte mi sembra addirittura di essere perfettamente trasparente!
Beh, se la compagnia umana mi é preclusa, almeno che io abbia la gloria che mi spetta di diritto!
E’ tempo che tutto il mondo sappia che io e solo io sono il killer capace di uccidervi in sessanta anche se mi riducete a brandelli!
E’ tempo che getti giù dal trono quella stramaledetta Anopheles, che mi oscura la scena! (Veicola virus lei, tzé…sai che sforzo!)
Non avete ancora capito chi sono?
Oh povera me! Come posso pretendere che abbiate paura di me se neanche mi conoscete?!
Ah, ecco sì, forse questo indizio vi aiuterebbe: come tutti i serial killer che si rispettino mi mimetizzo nella moltitudine dei miei simili, diventando invisibile.
Ancora niente?!
Mi arrendo all’evidenza della vostra poca conoscenza!
Permettete allora che mi presenti: sono la signora Fleckeri, Chironex Fleckeri, ma potete chiamarmi Sea Wasp.
La mia foto segnaletica è su Live Science: sono la terza da sinistra, quella tentacolare, la medusa più affascinante e mortifera del Pianeta.
Se proprio volete azzardarvi a fare un tuffo, lasciate stare l'aceto, tanto non vi salverà.
Piuttosto, portate giù una bottiglia di bianco, che con i gamberi del mio pasto si sposa alla perfezione!
Sappiate, però, che il piacere di fare la vostra conoscenza è e resterà solo mio.

Simone Savogin - Pasticciaccio



Abituale abito d'abitazione nobile,
mobilio immobile,
opulenza palpabile,
labile limite tra apprezzabile e risibile,
in bilico tra biliaco e villico.
Limbico nido di libico infido,
di sbieco, si staglia su bassa collina.
Collima con immagini flebili di un'Istambul magica;
unica abiura: l'automobile indaco
brilla come stella in subbuglio per scoppio imminente.
Niente umiltà nel bullo imbellettato,
strabuzza bulbi oculari in faccia rubizza
al passaggio fluido di rara bellezza.
Ne propone pronto acquisto,
convinto che il cuore, come tutto, abbia un costo.
Si blocca in un broncio da bimbo viziato,
la bocca grinzosa e la fronte aggrottata,
al rifiuto deciso rifilatogli tosto
dal fiore narciso defilatosi lesto.
Infila filare, di filata, fino al villino.
Villano vaneggia vendette e vitupera,
vigliacco invoca intervento divino.
In divano ottomano, di vino ottobrino,
s'ubriaca e, molesto, mostra il suo lato nascosto.
Il mosto riesuma il mostro.
Incastra lastre su asta lustra,
incastona pietre su piastre e fruste:
"ingiusta" latra "indegna" mugugna
"alla gogna" digrigna e guadagna la porta.
Porta lo sguardo in angusta viuzza,
la puzza gli mozza nel gozzo il fiato:
"fidato?!" domanda al rozzo individuo,
individuato ondivago tra monnezza, olezzo e spruzzi.
Fissa il prezzo e fissa con disprezzo
il pazzo che accetta l'accetta improvvisata.
Improvvisa la falce riluce in tralice,
Alice è ferita e non reca prece,
incede precaria per pochi passi,
cade e cede.
Il carnefice accerta il decesso con l'indice,
indice a sé stesso un processo sommario
recide la cute, si percuote ed incide,
indeciso se uccidersi o chiedere lumi
a chi commissiona simili scempi.
Alla vista del viso il senno è perduto,
condannato colpevole del più grave reato,
il reietto s'arreca "seppuku", lasciando impunito
chi invece è fece.
Farcela è facile al mondo d'oggi,
falsi e furbi fanno i passi più turpi,
turbando alcuni, deturpando altri.
Raggiri ed intrighi ingabbiano i miti
militi ignoti di liti ignobili,
mitili inutili mangiati dagli utili
di molti politici e magnati futili,
elettisi giudici ma peggiori degli ultimi.
Non resta che esser diretti e sicuri,
presenti a sé stessi sempre e comunque;
pervasi dal senso più sereno di tutti,
ossia il lottare sino al sonno dei giusti.