Racconti gialli in tre minuti



In occasione della decima edizione del festival di narrativa poliziesca La passione per il delitto - dal 25 settembre al ottobre 2011 - in collaborazione con la libreria Area Libri di Seregno, è stata organizzata la seconda edizione del CRIME STORY SLAM: una gara di brevi racconti, in cui una giuria ha selezionato 15 finalisti tra tutti i racconti partecipanti. Domenica 9 ottobre, gli autori si sono sfidati sul palco leggendo i loro racconti, fino alla proclamazione del vincitore assoluto determinato dai voti della giuria in sala.

domenica 16 ottobre 2011

Giuseppe Vottari - Diavolo d'un Lele


L’ultima volta che l’ho visto era in piedi a gambe larghe con una pistola in mano.
Tuta Everlast grigionera e preistoriche Adidas Jabbar alte, coppola di velluto D&G e rayban Aviator a specchio. Il suo travestimento preferito: guerriero da strada griffato made in Mediolanum.
Aveva appena combinato un guaio di quelli grossi, Lele Governa da via Paolo Maspero. Due metri di muscoli e nervi su una testa calda come poche altre malgrado i quarant’anni suonati. Il solito pirlone specializzato in cause perse, ho pensato allontanandomi più in fretta possibile.
Di fronte a quello che per noi restava sempre lo stabilimento in disuso della Motta di viale Corsica, anche se ormai da alcuni anni il vecchio complesso industriale 1930 circa dove si producevano panettoni, buondì e altre merendine era stato demolito, e al suo posto svettavano un enorme supermercato Maxi Simpli con annesso parcheggio multipiano e un Brico center, Lele Governa fiammeggiava come un drago incattivito. Attirava l’attenzione e gli sguardi allarmati dei pedoni e degli automobilisti di passaggio su quel tratto di viale Corsica prossimo all’incrocio con la circonvallazione esterna più di una vagonata di veline svestite e sculettanti.
La pistola puntata in basso, una Beretta 90two a dodici colpi calibro .40 S&W, la impugnava a due mani. La canna d’acciaio sabbiato e brunito puntava un corpo sanguinante disteso supino sul marciapiede. Il corpo di un uomo che indossava un’arma e una divisa di cui non avrebbe mai più fatto uso.
La colpa dell’ucciso, addetto alla sicurezza del Maxi Simpli, era quella di aver palpeggiato e fatto una proposta indecente alla convivente di Lele, mia sorella Maddalena, cassiera al Brico. Il che spiega il mio coinvolgimento nella spedizione punitiva. Che a quanto mi aveva promesso Lele, che ormai da qualche anno non frequentavo più assiduamente come facevo quando eravamo ragazzi e appena usciti da scuola mangiavamo di corsa e poi ci fiondavamo in strada – per giocare a basket nei campetti di periferia fino a che stavamo in piedi e bazzicare tossici e ladruncoli per capire se si poteva davvero vivere senza lavorare e trovare il grano necessario a ricaricarci e tenerci su di giri – doveva limitarsi a una ripassata alla guardia giurata, una strapazzata per rieducarlo pubblicamente alle buone maniere. Una lezioncina alla milanese, nelle parole di quel bugiardo patentato di Lele Governa, che mi infinocchia sistematicamente da quando ci siamo conosciuti in seconda media, a dodici anni, alle selezioni per la squadra di basket della scuola statale Luigi Majno di via della Commenda, nella palestra dell’edificio 1910 circa. Lui divenne il centro titolare della prima squadra, io il playmaker di riserva della seconda. Lui stella, io gregario. Probabilmente Lele è sinceramente dispiaciuto di non essere mai riuscito a farmi condividere con lui l’esperienza di giocare da protagonista una finale di campionato provinciale o regionale degna di questo nome perlomeno quanto lo è del fatto che io la vita da strada non l’ho mai vissuta fino in fondo e me ne sono tirato fuori prima di rovinarmi l’esistenza e trasformarmi in un vero e proprio piccolo criminale di periferia. Quelli da scippi in moto e rapine a farmacie e tabaccherie. Così mi sono perso l’esperienza dell’arresto in fragrante, della condanna per direttissima e della detenzione carceraria, da lui più volte reiterata.
Questa volta la tentazione di mandarlo al diavolo definitivamente è stata forte perché tra due mesi mi sposo e tra cinque diventerò padre, ma il pensiero che Lele potesse coinvolgere mia sorella nell’impresa punitiva mi ha fatto capitolare. Così mi sono inventato un appuntamento dell’ultima ora, ho chiesto alla titolare dell’agenzia immobiliare per cui lavoro il permesso di prendere la Smart aziendale e alle tre sono passato a prendere Lele in via Paolo Maspero, nella palazzina a cinque piani 1970 circa con vista Ortomercato in cui abita da sempre.
L’ho portato in viale Corsica, depositato davanti all’obiettivo e fino al momento in cui non ha estratto la Beretta mi sono illuso che tutto sarebbe filato liscio.
Dopo i due spari ho dato gas e sono schizzato via. Ho guardato Lele rimpicciolire nello specchietto retrovisore fino a sparire. L’ho maledetto. Ho pensato non mi freghi più e proprio in quel momento, mentre pestavo sull’acceleratore e stringevo il volante come avrei fatto col suo collo, con la coda dell’occhio ho colto alla mia destra, su un vecchio portone di un edificio malmesso 1950 circa, una sfilza di cartelli di offerte immobiliari di vendite e affitti in cui mancava giusto la nostra. Ho frenato e scalato, messo la freccia e imboccato a razzo un passo carrabile rischiando di cappottare e travolgere due bambine. Sono sceso dalla Smart, l’ho ringraziata per non avermi tradito, ho pensato che Lele forse era riuscito a darsela e non si era fatto blindare. Mi sono imposto di non pensare a mia sorella. Mi sono attaccato al cellulare. Ho chiamato in agenzia per dire che l’appuntamento era saltato ma forse avevo trovato qualcosa d’interessante. Ho raggiunto il portone, studiato gli annunci e fischiettando mi sono fiondato sulla pulsantiera dei citofoni per fare un po’ di vero lavoro di strada. In fondo, non sono che un agente immobiliare.

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