Racconti gialli in tre minuti



In occasione della decima edizione del festival di narrativa poliziesca La passione per il delitto - dal 25 settembre al ottobre 2011 - in collaborazione con la libreria Area Libri di Seregno, è stata organizzata la seconda edizione del CRIME STORY SLAM: una gara di brevi racconti, in cui una giuria ha selezionato 15 finalisti tra tutti i racconti partecipanti. Domenica 9 ottobre, gli autori si sono sfidati sul palco leggendo i loro racconti, fino alla proclamazione del vincitore assoluto determinato dai voti della giuria in sala.

domenica 16 ottobre 2011

Virgilio Bartolucci - Una stupida


Una stupida, una sciocca, una donna inelegante, squadrata come un ciocco di legna da ardere fatto a pezzi con l’accetta. Così mi appare Lorna, quel nome mutuato da una fiction anni ’80, il trucco pesante nonostante l’abbronzatura, il seno procace in bella mostra, come le gambe che scivolano via sinuose da sotto il vestitino corto, da ragazzina.
 È bella come una donna di Boldini, ma è e resta quello che è sempre stata: una scema. Ha superato i quaranta senza saper accettare il declino, in preda a una persecuzione paranoide, sempre convinta che tutto e tutti cospirino contro di lei.
Eppure, stavolta, quando ha squillato il telefono e ho sentito la sua voce familiare dire: ciao  Narciso, è Bocca d’oro, ho sorriso con il trasporto che si deve a una vecchia amica. Per  un attimo sono tornata al nostro banco, coi diari e quelle frasette sciocche, ma, invece, eccola che riprende a lamentarsi.
<<Ha detto che torna da sua moglie che preferisce lei, il calore della sua noia, il peso della sua tranquillità. Lì zitta e buona, appagata dal vivere un passo indietro al grande manager. Io non vado bene, troppo irrequieta, troppo impegnativa, non conta la gioia che siamo stati capaci di darci...>>.

Uno sfogo da soap opera, parole dozzinali che non comunicano nulla, non obietto che se continua a cercarsi uomini sposati e in carriera non troverà mai altro; lascio correre, non mi interessa aggiungere parole altrettanto scontate alle sue, che inondano la stanza.
<<Quella donna ha avuto tutto servito su un piatto d’argento, non ha nessun merito, nessun pregio. Un matrimonio classico: convenienza e apparenza, vive come se tutto le fosse dovuto, mi ignora e alla fine lui ha scelto lei>>.

 Potrei risponderle che quella donna un merito ce l’ha: sa tenersi un uomo. Poi inizia a piangere, provo un accenno di pena, ma sono troppi gli errori, gli atteggiamenti indisponenti e le manchevolezze che si tira dietro, perché possa provare una sincera pietà per lei.
Si frega le mani, suda, ha un’aria che potrebbe spaventare anche il marito più infedele. Mi godo il tormento in diretta, nel mio soggiorno, mentre osservo le venature del parquet attraverso il tavolo in cristallo su cui le sue dita smaltate strisciano alla ricerca di un’altra sigaretta.
 <<Dovresti vederla, una maschera ipocrita, bigotta, classista, cattiva>>.

<<La conosci!?>>.

<<Si, oh la conosco anche bene direi.. eheh sempre che qualcuno possa dire di conoscerla veramente>>

<<E da quanto andava avanti!?>>.

<<Quasi un anno e mezzo>>.

<<É tanto!..e come l’hai conosciuta?>>

<<Ad un corso di pittura>>.

 Il corso di pittura, come il teatro, la letteratura, tutte scuse per appagare il suo ego in cerca di facili conferme. É sempre stata cosí: le altre hanno i soldi, i mariti, ma vivono vite noiose e inguaribilmente borghesi. Lei invece si ritiene un’artista, che vive, che soffre e straparla.
 <<Io la odio, è falsa, è una stronza, nasconde i suoi finti sorrisi dietro a un viso di porcellana, da eterna bamboletta che non ama altro che sè stessa. Una gatta che non si affeziona a nessuno, non soffre per nessuno, segue la sua convenienza, ti ascolta con calma e intanto ti giudica..eppure...vince, riesce a rendersi indispensabile, mentre io vengo scaricata come un bidone..>>.

Ha il fiato corto mentre descrive l’ennesimo fallimento facendo fischiare il filtro della sigaretta che aspira fino all’ultimo.
La detesto.
Riappare nella mia vita senza che io la cerchi, come un vecchio vestito saltato fuori da un cassetto apposta per ricordarti che non puoi più indossarlo, che non ti entra più.
Arriva. Si siede e parla e mi fissa, con gli occhi gonfi di psicofarmaci, vuota il sacco e va via rabbiosa, invidiosa.
Lorna e Gioia, Gioia e Lorna, le più belle del liceo. Ma mentre io ero la figlia di Rendini, il costruttore, per lei, che veniva dal Mamiani, una scuola pubblica, le attenzioni dei rampolli dell’aristocrazia romana erano una gratificazione irresistibile. All’inferiorità sociale suppliva con il suo essere disinibita, rivoluzionaria e affascinante. Inafferrabile, capace di saltare da una storia all’altra, da una decappottabile all’altra, senza mai mancare, tra l’altro, di disprezzare quel regalo da figlio di papà.
Sessualmente bulimica, le ho sempre invidiato la facilità nell’approcciarsi ai maschi. Prima di conoscere Lorna, l’unica cosa che sapevo del sesso era un discorso di mia madre su una porta e una chiave da dare solo a chi si ama. Con lei, di colpo, ogni sera partecipavo a un’uscita in quattro. Al fortunato di turno poneva una condizione imprescindibile per l’appuntamento: portare un amico. E così al pari di Lorna venivo considerata una mangia uomini, con la differenza che mentre lei si appartava, io non riuscivo a sbloccarmi. A vederla ora, però, credo che i problemi li avesse lei.
<<Una frigida, è anche una frigida e moralista, suo marito ne  ha piene le palle del sesso con lei, dell’appiattimento totale su una morta! Eppure ci torna, incatenato alla sua inadeguatezza, senza di lui è persa, non sa fare nulla>>.

<<Forse ha intuito che...>>

<<Non se lo può nemmeno immaginare! lei non si adatta al mondo, piuttosto si aspetta il contrario. Segue la sua logica: tutto deve essere ordinato, schifosamente vicino al perfetto a cui ambisce>>.

<<Forse sospetta?>>.

<<No, non sospetta nulla ahah, te lo posso giurare, non sospetta...no..eheh>>

 Sulla domanda mi è tremata la voce, l’ho fatta ridere. Mi sento a disagio, uno dei motivi che più alimentano la mia insofferenza sta nel senso di colpa che accende il vederla.
Non avevo mai tradito mio marito e non lo farò più.
L’ho voluto fare col suo uomo, sul suo terreno, sfidando il suo potere.
Accadde in occasione della morte del bambino.
Carlo era solo a casa, Lorna era uscita pazza di dolore. Lui mi raccontò delle complicanze insorte con la malformazione di Sandrino e della sua piccola, unica mano che stringeva sempre il suo giocattolo preferito: un aeroplanino a cui mancava un’aletta. Provai una tenerezza immensa e in un attimo eravamo stretti sul loro letto. Fu un errore e una cosa sporca nei confronti di Mario, del nostro matrimonio, di cui sono felice. Pienamente felice. Uno scheletro nell’armadio che mi perseguita, che sommerge di ridicola falsità ogni mia frase d’amore.

<<una donna ignara, piccola e inutile, si frappone tra me e la felicità e gode enormemente di ciò. É una puttana, Giò! delle volte mi dico che e’ solo una puttana, ma non basta, la voglio vedere morta sai?>>.

<<non dire così Lorna! Non esagerare, se la uccidessi non avresti più nessuna scusa  da dirti e dovresti ammettere che non é colpa sua se il suo uomo la tradisce come passatempo, é lui che ti prende in giro. Tu non sei la prima e non sarai nemmeno l’ultima>>.

<<Eh scusa.. ma tu, tu cosa cazzo ne sai? Scusa eh!? ma tu cosa parli? di cosa?  Credi che non lo conosco quel modo di guardare, di ridere sotto i baffi, di farti sentire di un’altra specie? Irrimediabilmente inferiore, mai una volta degna dell’attenzione più vera, più profonda?>>.

Lorna accarezza il soprammobile d’alabastro bianco che poggia sul tavolo, ha una forma surreale, dovrebbe essere un delfino, lo accarezza sensuale, come fosse il pene di un uomo che si va irrigidendo. Il suo volto si incupisce, le rughe affiorano dal trucco e la sua bellezza si fa luciferina.
Addrizza il busto, poi il collo e per ultima la testa e mi fissa, spalancando gli occhi, vitrei come una bambola.
Un brivido mi trasmette la paura prima del pensiero, prima che  si alzi in piedi con della voce mutata di una donna malata, <<Me lo dici chi cazzo sei Giò? dopo tanti anni me lo dici Gioia? O devo continuare a riderne con Mario di quello che sei? Ma l’hai capito? L’hai capito o no che succede adesso?>>.

Poi non sento più nulla. Vedo alzarsi e abbassarsi il braccio, mentre i capelli vanno prima indietro come una tenda scossa dal vento, poi in alto. Vedo le urla e gocce di sangue sul bianco dell’alabastro, sul tavolo di vetro. Vedo la mia mano che preme sull’occhio, ma non sento più dolore come non sento il mio amore, uscito dal cuore.

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