Mi chiamano Carlos, Carlos e
basta.
Vivo sulla costa dell’oceano e
passo il tempo a pescare. A vedermi con la
canna tra le mani non si direbbe
che ho ucciso un uomo.
È stato nei cessi del museo
Thyssen che l’ho fatto secco, senza una ragione,
solo per provare l’emozione di
ammazzare qualcuno. Le persone parlano della morte
senza sapere cosa sia: io ero
curioso di vederla da vicino, la morte.
Prima di scappare qui vivevo a
Madrid. Quando abitavo nella capitale
dipingevo quadri per una galleria
che sta in calle Atocha, nature morte che mi
facevano campare.
Ho scritto anche una guida della
Taverne di Madrid, non ha mai venduto niente
ma posso dire di aver fatto anche
quello. L’idea delle taverne era una scusa per
starmene fuori tutta la notte
senza dovermi giustificare con mia moglie.
La storia dell’omicidio è
cominciata proprio lì, nelle taverne. A furia di
frequentare gente sbandata, senza
un lavoro, o una casa dove tornare, ho pensato che
se ne avessi fatto fuori uno non
se ne sarebbe accorto nessuno. E così ho scelto il mio
uomo tra i randagi peggiori, tra
quelli che non avevano un documento, e nemmeno
amici, o qualcuno ad aspettarli
da qualche parte.
C’è voluto poco per trovarlo: al
tizio ho detto che al Thyssen esponevano dei
miei quadri e volevo farglieli
vedere.
Quando siamo entrati al museo
avrei voluto portarlo subito nei bagni e farla
finita, per godermi la scena, ma
siccome lui stava a bocca aperta davanti alle tele, gli
ho fatto vedere qualche sala,
perché ho pensato, così negli occhi gli rimane qualcosa
di buono di questo mondo.
Poi gli ho detto che dovevo
andare al cesso, che mi doveva accompagnare. E
quando siamo stati lì, gli ho
fatto: adesso ti appoggi con il culo al lavandino, chiudi
gli occhi, e guardi in alto che
ti faccio una sorpresa.
Lui si è messo come gli ho detto
e io ho tirato fuori dalla tasca un coltello,
pronto a tagliargli la gola, solo
che prima di farlo sono stato lì un momento indeciso,
perché non avevo idea di come colpirlo,
così lui mi ha detto se poteva aprire gli
occhi, con la faccia allegra di
un ragazzino alle giostre, e allora gli ho risposto che era
questione di un attimo. Ho preso
la rincorsa e gli ho tagliato la gola come lo può fare
uno per la prima volta. Tanto
forte che la coltellata gli ha strappato tutto e lui è
caduto per terra senza dire
niente.
Morire è una stronzata, ci vuole
un secondo, prima sei vivo e poi non sei più
niente; un sacco svuotato di
sangue. Di tutta la tua intelligenza, furbizia o cattiveria
non resta niente. Sangue, quello
si, un mucchio di sangue, una pozza che ho sempre
davanti agli occhi.
Un giorno morirò anch’io. Per ora
vivo di fronte al mare e so come muore un
uomo. Quello che posso dire è che
una volta ero un tipo allegro. Adesso non rido da
un sacco di tempo, i pensieri mi
attraversano la testa come piccoli lampi, qualcuno fa
più luce degli altri, qualcuno
provoca la pioggia.
Io attraverso la vita in questo modo.
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